Accettare per ripartire: accettazione e nuovi scopi

Uno dei concetti più interessanti e fruttuosi nell’ambito della psicologia clinica degli ultimi anni è senza dubbio quello di “accettazione”. Questo termine apparentemente comune ha però un significato peculiare nel campo del supporto psicologico. Scopriamo in pochi passi in cosa consiste!

Come ci insegnano importanti nomi della psicologia italiana come Cristiano Castelfranchi, il comportamento di tutti noi esseri umani è guidato da scopi. Che sia lo scopo di laurearsi, di essere sempre puntuali, o di preparare un piatto di pasta per ora di pranzo, ogni giorno della nostra vita è determinato da piccoli e grandi scopi che seguiamo e perseguiamo in modo consapevole e inconsapevole.

Vi sono tuttavia degli scopi i quali possono talvolta non essere più perseguiti, per svariate ragioni. La causa più frequente è che magari non vi sono più delle risorse o dei fattori interni o esterni che fino a quel momento ci permettevano di perseguire quello scopo. Eppure molto spesso si tende a voler continuare a battere la strada di quello scopo, come per inerzia, continuando ad investire per molto tempo una grossa quota di emozioni e sforzi pur sapendo di incappare in un vicolo cieco e dunque nella frustrazione; questo perché certi scopi possono apparirci “irrevocabili”. L’esempio più “banale”, e dunque più comprensibile, è quello della chiusura di una relazione sentimentale: la fine di una relazione amorosa, specialmente di lunga durata, può richiedere una graduale elaborazione “fisiologica” che può durare anche un anno circa. Tuttavia diverse persone si ritrovano dopo ancora più tempo chiuse nell’impasse della mancata elaborazione della rottura del legame, cadendo in uno stato di tristezza che da fisiologica, necessaria e transitoria diviene perdurante e disfunzionale: la disfunzionalità di questa situazione è tale in quanto impedisce alla persona di investire risorse emotive, mentali e comportamentali su nuovi obiettivi e nuovi scopi, sia di tipo relazionale sia di altra natura. È come se una parte della nostra mente si ostinasse a impattare con una parete infrangibile, sperando che ciò possa cambiare qualcosa: in tal caso l’impatto col muro è rappresentato dal ruminare costantemente su ricordi di ciò che si è perso o ruminare su possibilità future irrealizzabili o altamente improbabili, con tutto il carico di angoscia, tristezza e ansia che ciò comporta. Tutto questo, sulla lunga distanza, impoverisce la vita e la sfera emotiva, bloccandoci in un cul-de-sac. È qui che entra in gioco l’accettazione.

In un percorso di counseling o terapia psicologica, l’accettazione è un processo ben soppesato, ben diverso dal concetto di “rassegnazione”. Per ultimare un processo di accettazione (ossia accettazione nello spostare i propri investimenti da uno scopo ormai irraggiungibile a scopi nuovi e più appaganti) occorre in primis che psicologo e paziente valutino insieme le risorse in gioco: risorse emotive e materiali, fattori relazionali propri e di terzi, elementi di natura fisica e logistica, e così via. In breve, le possiamo definire come risorse interne ed esterne. Dopodiché, una volta valutato se effettivamente sia infattibile perseguire lo scopo costantemente frustrato, si procede a contemplare se questi fattori e queste risorse possano essere integrate sotto il nostro controllo oppure no. Nel caso precedente, della rottura sentimentale, se ad esempio l’altra persona non ha chiaramente nessuna intenzione di tornare sui suoi passi, non vi è nulla che sia nel nostro controllo per invertire il corso degli eventi (a meno che non si opti per comportamenti ancor più disfuzionali ed inadeguati). Una volta appurato in maniera graduale e schematica che il paziente non ha nessun controllo diretto per cambiare le condizioni passate, attuali e future, si può avere un iniziale diminuzione di pensieri ed emozioni spiacevoli, come senso di fallimento ed inadeguatezza: perché dovrei rimproverarmi se non posso cambiare eventi fuori dal mio controllo? Sarebbe come cercare di impedire al sole di sorgere: nessuno, ragionevolmente, si rammaricherebbe non riuscendoci.

A questo punto si procede all’individuare nuovi scopi alternativi che possono risultare maggiormente alla portata del paziente, alla luce delle risorse disponibili (e potenziali) e dei fattori contingenti dell’ambiente: seguendo l’esempio precedente, possiamo pensare alla coltivazione di nuovi interessi ed hobby, investire maggiori risorse nel lavoro, espandere la propria rete di amicizie, per poi aspirare ad un nuovo legame sentimentale, e così via. Naturalmente l’implementazione di questi nuovi scopi sarà graduale e sarà ragionato sulla base delle effettive esigenze ed inclinazioni del paziente, in un costante processo collaborativo. Col tempo si apriranno dunque nuove strade, nuovi obiettivi, e si potrà uscire da un impasse emotivo di natura persistente e pervasiva.

Il principio dell’accettazione è che non si tratta di un processo passivo, bensì di un esame attivo ed attento di tutte le possibilità a disposizione del paziente, le cui fondamenta consistono nell’importante discriminazione su ciò che possiamo anche solo minimamente controllare in prima persona, e ciò su cui invece non possiamo esercitare alcun controllo, per i più vari motivi.

Ed è per questo che ritengo che la classica “preghiera laica” dei gruppi degli Alcolisti Anonimi rappresenti la sintesi perfetta del principio dell’accettazione:

“Signore, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare; il coraggio di cambiare quelle che posso; la saggezza di conoscerne la differenza”.

Preghiera della Serenità

Bibliografia:

  • “Irrevocable goals” di M.Miceli e C.Castelfranchi; “Review of General Psychology”, 2017, Vol. 21, No. 1, 69–81
  • “Le procedure cognitive di accettazione” di C.Perdighe e T.Cosentino; in “Psicoterapia Cognitiva. Comprendere e curare i disturbi mentali”, 2021, Raffaello Cortina Editore
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